L’impresa familiare è disciplinata dal punto di vista civilistico dall’art. 230-bis c.c., mentre le regole fiscali sono contenute nell’art. 5, cc. 4-5 del Tuir.
Per impresa familiare si intende l’impresa in cui collaborano continuativamente con l’imprenditore individuale, il coniuge, i parenti entro il 3° grado (padre, madre, nonni, fratelli, bisnonni, zio e zia, nipoti, pronipoti), gli affini entro il 2° grado (suoceri, figli del coniuge, nonni del coniuge, nipoti del coniuge, cognati).Per effetto della legge Cirinnà (artt. 13 e 20 L. 76/2016) l’unione civile è equiparata al matrimonio; pertanto, l’unito civilmente, al pari del coniuge, potrà partecipare all’impresa familiare e avere i seguenti diritti:- mantenimento;- partecipazione agli utili dell’impresa e ai beni acquistati con essi; - incrementi dell’azienda; - partecipare alle decisioni circa l’impiego di utili e incrementi;- partecipare alle decisioni di gestione straordinaria, di indirizzi produttivi e di cessazione dell’impresa;- prelazione in caso di divisione ereditaria o trasferimento dell’azienda. Invece, il convivente di fatto, detto anche more uxorio, non ha avuto questa equiparazione e, nell’ambito dell’impresa familiare, ha visto la sua posizione esplicitarsi nell’art. 230-ter c.c., che dispone il diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa e ai beni acquistati con essi e il diritto agli incrementi dell’azienda. La sentenza della Corte Costituzionale 25.07.2024, n. 148 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis, c. 3 c.c., poiché non contiene la figura appunto del convivente di fatto, nonché...