Diritto privato, commerciale e amministrativo 12 Marzo 2024

La prelazione impropria (seconda parte)

L’istituto è disciplinato da clausole molto diffuse nella prassi e che appaiono, in linea di massima, legittime.

Il D.Lgs. 6/2003 ha riconosciuto all’autonomia privata il potere di rendere più elastici gli statuti delle società di capitali e, in particolare, ha previsto: la possibilità di introdurre, modificare o eliminare limitazioni alla circolazione delle azioni per la S.p.A. (art. 2355-bis, c. 1 c.c.) e per la S.r.l. (art. 2469 c.c.); la possibilità di prevedere un divieto assoluto di alienazione, sia pure entro il limite massimo di 5 anni per le S.p.A.; un’espressa disciplina delle clausole di “mero” gradimento; l'espressa ammissibilità di clausole che limitano la circolazione delle azioni per causa di morte (art. 2355-bis, c. 3 c.c.); il diritto di recesso in caso di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni (art. 2437, c. 2, lett. b) c.c.). Le clausole di prelazione impropria devono ritenersi comprese in quelle “particolari condizioni” a cui può essere subordinato il trasferimento di azioni nominative o di partecipazioni azionarie per le quali non si sia fatto luogo all’emissione dei titoli azionari (artt. 2355-bis c.c., per le S.p.A., e 2469 c.c., per le S.r.l.). Tali norme consentono, rispettivamente per un periodo di 5 anni o di 2 anni, la pattuizione dell’intrasferibilità di azioni o quote e, quindi, nel caso di clausole di prelazione improprie aventi una durata limitata a un periodo non superiore a questo, non sembrano potersi...

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