Il ritorno all’ammortamento maggiorato, in sostituzione ai crediti d’imposta, deciso nella nuova finanziaria, comporterà qualche aggiustamento per poter diventare realmente strumento efficace in accompagnamento allo sviluppo delle imprese. Ed è normale, visto che si tratta di una rivoluzione dopo diversi anni segnati dai tax credit, che ancora non ci sia chiarezza su questa misura.
A partire dall’effettivo periodo di operatività dell’agevolazione. È fuor di dubbio che servirà un decreto attuativo pubblicato congiuntamente dai 2 Ministeri di partita (Economia e Finanze e Imprese e Made in Italy). Un passaggio che dovrebbe tecnicamente avvenire entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge. Calendario alla mano, significherebbe massimo entro la fine di gennaio 2026. E qui si può avere il primo “impiccio”: la forte incertezza lasciata alle imprese sulla pianificazione 2026 degli investimenti, in una fase, quella di inizio anno, che si presta in maniera particolare a queste attività. Le imprese potrebbero pianificare, sì, ma non agire, in quanto gli investimenti prima della pubblicazione ufficiale delle regole potrebbero non essere ricompresi fra quelli agevolabili.
E sempre in termini di tempistiche, aspetto critico è rappresentato anche da quelle riguardanti la durata della misura: un solo anno solare con 6 mesi di proroga per chi avrà versato un acconto pari ad almeno il 20% del bene, entro la fine dell’anno 2026. Appare chiaro che una così breve finestra temporale, mal si sposa con la necessità da parte delle aziende di programmare azioni pluriennali e di lungo respiro quando si tratta di investire su aspetti così strategici e delicati della vita aziendale.
Per venire incontro al primo aspetto (decorrenza a 2026 inoltrato) i tecnici stanno valutando la possibilità di introdurre fin da ora le specifiche tecniche necessarie per l’accesso al beneficio, mentre per il secondo aspetto (durata limitata) è allo studio un allungamento a 3 anni, che permetterebbe una maggiore libertà di programmazione in capo alle imprese.
Fra gli altri aspetti “critici” rilevati anche la necessità di includere nella lista dei beni agevolabili anche soluzioni che ruotano attorno all’intelligenza artificiale, alla cybersecurity e ai software gestionali, alleggerire il carico burocratico con il ricorso a modelli semplificati e la riduzione della documentazione.
C’è da dire che questa formula impatta molto meno sui conti pubblici, rispetto a quella del tax credit; infatti, l’impatto sulle finanze statali in termini di cassa sarebbe nullo sul 2026 e si presenterebbe in modo graduale via via fino al 2034 (540,7 milioni nel 2027, 1 miliardo nel 2028, 860 milioni nel 2029 fino a calare dal 2030 in poi).
Il tutto, con l’obiettivo di favorire almeno 16 miliardi di investimenti.
