A 3 anni dall’emanazione del D.M. Lavoro 5.03.2020 concernente: “Adozione della modulistica di bilancio degli enti del Terzo settore”, non si sono ancora avute dal “Ministero competente” indicazioni precise sull’interpretazione dell’art. 13, cc. 4 e 5 D.Lgs. 117/2017.
Ogni anno ci si pone l’interrogativo: quale contabilità e quale bilancio per gli enti del Terzo settore?
In mancanza di una risposta autorevole, a livello operativo, alcuni interpreti hanno scelto la scorciatoia di ritenere applicabili i modelli ministeriali agli ETS non commerciali, mentre gli schemi di bilancio previsti dal Codice Civile per gli ETS commerciali; commettendo, a nostro avviso, un’indebita confusione tra ambito civilistico e fiscale. In realtà, la riforma opera una distinzione chiara tra aspetti contabili ai fini civilistici (art. 13 del CTS) e aspetti contabili ai fini fiscali (art. 87 del CTS).
Ai fini civilistici (di cui ci occupiamo in questa sede), il punto da dirimere è il seguente: che cosa si intende per svolgimento dell’attività in forma di impresa commerciale? L’art. 13, c. 4 del CTS prevede che “gli enti che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale devono tenere le scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.”. L’obbligo di tenuta delle scritture contabili secondo il Codice Civile è tipico dell’imprenditore commerciale (vedi artt. 2214-2220).
Parimenti, lo stesso art. 13, c. 5 prevede che “gli enti del Terzo settore di cui al comma 4 devono redigere e depositare presso il Registro delle Imprese il bilancio di esercizio redatto, a seconda dei casi, ai sensi degli artt. 2423 e seguenti, 2435-bis o 2435-ter c.c.”.
Il Codice Civile definisce il soggetto (l’imprenditore), non l’attività (l’impresa).
Ai sensi dell’art. 2082 c.c. la definizione di imprenditore deve essere intesa in senso oggettivo, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro; d’altra parte, deve essere escluso il carattere imprenditoriale dell’attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito.
La nozione di imprenditore si basa sull’esercizio di un’attività definita dai seguenti requisiti:
Ogni anno ci si pone l’interrogativo: quale contabilità e quale bilancio per gli enti del Terzo settore?
In mancanza di una risposta autorevole, a livello operativo, alcuni interpreti hanno scelto la scorciatoia di ritenere applicabili i modelli ministeriali agli ETS non commerciali, mentre gli schemi di bilancio previsti dal Codice Civile per gli ETS commerciali; commettendo, a nostro avviso, un’indebita confusione tra ambito civilistico e fiscale. In realtà, la riforma opera una distinzione chiara tra aspetti contabili ai fini civilistici (art. 13 del CTS) e aspetti contabili ai fini fiscali (art. 87 del CTS).
Ai fini civilistici (di cui ci occupiamo in questa sede), il punto da dirimere è il seguente: che cosa si intende per svolgimento dell’attività in forma di impresa commerciale? L’art. 13, c. 4 del CTS prevede che “gli enti che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale devono tenere le scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.”. L’obbligo di tenuta delle scritture contabili secondo il Codice Civile è tipico dell’imprenditore commerciale (vedi artt. 2214-2220).
Parimenti, lo stesso art. 13, c. 5 prevede che “gli enti del Terzo settore di cui al comma 4 devono redigere e depositare presso il Registro delle Imprese il bilancio di esercizio redatto, a seconda dei casi, ai sensi degli artt. 2423 e seguenti, 2435-bis o 2435-ter c.c.”.
Il Codice Civile definisce il soggetto (l’imprenditore), non l’attività (l’impresa).
Ai sensi dell’art. 2082 c.c. la definizione di imprenditore deve essere intesa in senso oggettivo, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro; d’altra parte, deve essere escluso il carattere imprenditoriale dell’attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito.
La nozione di imprenditore si basa sull’esercizio di un’attività definita dai seguenti requisiti:
- economicità, intesa come modalità dell’attività di produzione o scambio di beni o servizi, con copertura dei costi attraverso i ricavi (autosufficienza economica);
- professionalità: l’attività economica deve essere svolta in modo sistematico e abituale, non occasionale;
- organizzazione: deve trattarsi di un coordinamento da parte dell’imprenditore dei fattori della produzione di cui si avvale.
Rimane ancora da chiarire che cosa si intende per impresa “commerciale”. L’opinione prevalente è rivolta a considerare la nozione di impresa commerciale in termini di residualità rispetto a quella di imprenditore agricolo (art. 2135 c.c.) e di piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.).
Ritornando ora all’art. 13, c. 4 del CTS, dobbiamo chiederci come concretamente applicare questa disciplina agli enti del Terzo settore. Va precisato, anzitutto che ai sensi dell’art. 4 del CTS, gli ETS, nel perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, devono svolgere in via “esclusiva” o principale una o più attività di interesse generale.
È a queste attività, pertanto, con esclusione, quindi, delle attività diverse (art. 6) e della raccolta fondi (art. 7), che ci si deve riferire per verificare la condizione posta dall’art. 13, c. 4 (esercizio in via esclusiva o principale di attività in forma di impresa commerciale).
Ritornando ora all’art. 13, c. 4 del CTS, dobbiamo chiederci come concretamente applicare questa disciplina agli enti del Terzo settore. Va precisato, anzitutto che ai sensi dell’art. 4 del CTS, gli ETS, nel perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, devono svolgere in via “esclusiva” o principale una o più attività di interesse generale.
È a queste attività, pertanto, con esclusione, quindi, delle attività diverse (art. 6) e della raccolta fondi (art. 7), che ci si deve riferire per verificare la condizione posta dall’art. 13, c. 4 (esercizio in via esclusiva o principale di attività in forma di impresa commerciale).
Anche sotto il profilo aziendalistico non si può fare a meno di osservare che gli schemi di bilancio proposti dal D.M. 5.03.2020 sono più adatti a rappresentare una gestione di carattere erogativo, mentre gli schemi di bilancio previsti dal Codice Civile meglio rappresentano l’aspetto economico della gestione.
Negli enti che gestiscono servizi sociali di grande rilevanza (es. scuole, case di risposo, case di cura, ecc.) è chiaro che diventa sempre più importante monitorare l’equilibrio economico della gestione.
Un monitoraggio che diventa problematico con l’utilizzo degli schemi di bilancio ministeriali.
Negli enti che gestiscono servizi sociali di grande rilevanza (es. scuole, case di risposo, case di cura, ecc.) è chiaro che diventa sempre più importante monitorare l’equilibrio economico della gestione.
Un monitoraggio che diventa problematico con l’utilizzo degli schemi di bilancio ministeriali.
