Gli Enti del Terzo Settore possono qualificarsi come enti non commerciali se svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di cui all’art. 5 in conformità ai criteri indicati all'art. 79, cc. 2 e 3 del CTS.
Dopo l’introduzione del c. 2-bis si osserva che il superamento del 6% non determina automaticamente la perdita della qualifica di ETS non commerciale, stante che il superamento per 3 esercizi consecutivi del citato limite, comporta unicamente l’inclusione dei proventi in oggetto come entrate commerciali, riferiti alla specifica area di interesse generale.
Se l’ente non supera il Test 1, (cc. 2 e 2-bis, concernente la natura non commerciale dell’attività), per valutare la natura degli ETS, il legislatore ha inteso prendere a riferimento i proventi aventi natura commerciale per contrapporli a quelle derivanti da attività non commerciali (Test 2). È appena il caso di sottolineare che, a differenza di quanto stabilito sopra (cc. 2 e 2-bis), si contrappongono proventi commerciali ed entrate non commerciali, anziché corrispettivi e “costi effettivi”. A questo punto, non vi è chi non veda come gli stessi contributi pubblici vengano disciplinati diversamente ai fini della determinazione della natura dell’attività e della natura dell’ente. A nostro avviso, coerenza logica vorrebbe che qualora i contributi pubblici avessero natura corrispettiva, fossero considerati entrate derivanti da attività commerciali in entrambi i casi.
Ai fini del calcolo, è interessante notare che, a seconda del “peso” che hanno i diversi fattori che entrano nel rapporto, si determina la natura dell’ente. Infatti, quello che conta, ai sensi dell’art. 79, c. 5 del CTS, è il diverso atteggiarsi del rapporto tra entrate di natura commerciale ed entrate di natura non commerciale.
Sempre nell’intento di fare chiarezza circa gli elementi che compongono il rapporto, una parola deve essere detta anche per quanto riguarda la cessione dei beni e la prestazione dei servizi gratuita. Infatti, il risultato della contrapposizione entrate commerciali/non commerciali dipende anche dal “peso” delle contribuzioni di cui all’art. 79, c. 5-bis.
Innanzitutto, notiamo che la norma fa riferimento a ogni tipo di attività, e non solo a quelle di interesse generale previste dall’art. 5. Pertanto, nel conteggio deve essere preso in considerazione anche il valore normale di prestazioni e cessioni che hanno ad oggetto attività secondarie e strumentali.
I costi “figurativi” del volontariato sono determinati in funzione non dei costi rimborsati in base a parametri di cui all’art. 17, D. Lgs. n. 117/2017 (rimborso spese), bensì valorizzando la loro opera gratuita o in funzione della cessione gratuita di beni, nel caso di elargizioni in natura.
Quanto maggiore è la presenza di volontari, tanto minore dovrebbe essere l’entità del corrispettivo pagato dagli utenti: argomentazione questa che permetterebbe, in linea di principio, di rispettare la disuguaglianza di cui al Test (2).
Come si può vedere nel Test (2), una attività di interesse generale andrà collocata al numeratore o al denominatore, a seconda che abbia natura commerciale oppure no. Teoricamente, se un ente svolge diverse attività (alcune commerciali e altre no), le prime entreranno al numeratore della frazione, le seconde al denominatore.
È interessante anche notare che le entrate di cui all’art. 79, c. 4 (occasionali raccolte pubbliche di fondi e contributi pubblici per le attività di cui ai cc. 2 e 3) sono citate dal c. 5-bis tra quelle considerate non commerciali: “si considerano entrate derivanti da attività non commerciali … le entrate considerate non commerciali ai sensi dei cc. 2, 3, 4”. Ciò significa che, ai fini della verifica della natura dell’ente, i contributi pubblici (anche se corrispettivi) vanno sempre conteggiati tra le entrate non commerciali, o in quanto rientrano tra le entrate delle attività di interesse generale svolte con modalità non commerciali (in conformità all'art. 79, cc. 2 e 3), o in quanto ricomprese nel c. 4 (lett. b).
A questo punto, per quanto riguarda i contributi pubblici, si pone il problema del coordinamento dell'art. 79, cc. 2, 4 e 5-bis. In estrema sintesi: ai sensi del c. 2 i contributi della P.A., se sono corrispettivi, concorrono a stabilire la natura dell’attività.
Ai fini reddituali, se l’ente assume la qualifica di non commerciale, i contributi pubblici (art. 4, lett. b) sono considerati non imponibili. Ciò comporta, tra l’altro, che la proporzione dei relativi costi viene attratta dalla sfera istituzionale. Ai fini della determinazione della natura dell’ente, per presunzione di legge, ai sensi del c. 5-bis, i contributi pubblici sono considerati entrate non commerciali.
