- rigenerare i borghi attraverso la promozione della partecipazione alla cultura, il rilancio del turismo sostenibile e la tutela e valorizzazione dei parchi e giardini storici;
- rinnovare e modernizzare l’offerta turistica anche attraverso la riqualificazione delle strutture ricettive e il potenziamento delle infrastrutture e dei servizi turistici strategici.
- € 1,2 miliardi per l’attrattività dei borghi;
- € 0,3 miliardi per la valorizzazione identità di luoghi;
- € 1,79 miliardi per la competitività delle imprese turistiche.
- incremento dell'efficienza energetica delle strutture e di riqualificazione antisismica;
- eliminazione delle barriere architettoniche;
- interventi edilizi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia e alcuni casi di nuova edificazione (art. 3, c. 1, lett. e.5), purché “funzionali alla realizzazione degli interventi di cui ai punti precedenti;
- realizzazione di piscine termali e acquisizione di attrezzature e apparecchiature per lo svolgimento delle attività termali, relativi alle “aziende termali” di cui all'art. 3 L. 24.10.2000, n. 323;
- digitalizzazione del sistema turismo.
Tuttavia, un punto della norma merita di essere subito segnalato, considerato che è ancora in fase di conversione e la questione può essere affrontata e corretta: nonostante il PNRR faccia riferimento all’ampio novero delle “imprese turistiche”, l’art. 1, c. 5, del Decreto restringe la platea beneficiari alle sole “imprese alberghiere” e riguardo alle attività extra alberghiere, alle sole attività agrituristiche.
Alla luce degli artt. 8, 9 e 12, D.Lgs. 23.05.2011, n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo) parrebbe quindi che siano escluse da questi interventi previsti dal PNRR, per esempio, le imprese che gestiscono:
- case per ferie;
- ostelli per la gioventù;
- foresterie;
- centri di soggiorno studi;
- residenze d’epoca extralberghiera;
- rifugi escursionistici e alpini.
Il fatto che alcune di queste attività turistiche ricettive non possano essere condotte da soggetti di natura societaria (riguardo le case per ferie, ad esempio, le normative regionali chiedono che i titolari dell’attività siano enti pubblici o privati per il conseguimento di finalità sociali, culturali ed educative, quali le associazioni, le fondazioni, gli enti ecclesiastici) non esclude che essi operino in regime d'impresa qualora l’attività sia svolta in forma organizzata e i servizi siano resi a fronte di veri e propri corrispettivi. A riprova del fatto che la gestione di queste attività ricettive extralberghiere si svolge in forma imprenditoriale, sta il fatto che si tratta di operazioni comunque rilevanti ai fini Iva anche per gli enti privati non societari (gli enti gestori devono essere dotati di partita IVA e devono acquisire il codice Ateco, per esempio 55.20.40 per le case per ferie). Non è, invece, richiesto che l’attività turistica extralberghiera sia l’unica svolta dall’ente gestore, ben potendo svolgere altre attività, come quella scolastica, educativa oppure di religione o culto (per gli enti ecclesiastici)
Vi è, dunque, il timore che la scelta dell’art. 1 D.L. 152/2021 di ammettere tra i soggetti che gestiscono attività ricettive turistiche e che possono beneficiare di questi significativi aiuti finanziari le sole "imprese alberghiere” (invece che le “imprese turistiche” ricettive), oltre alle sole attività di agriturismo, comporterà l’esclusione del turismo sociale da queste misure di rilancio. Tanto più che già altre normative hanno riconosciuto contributi al settore turistico escludendo i gestori della ricettività extralberghiera (si veda il caso del D.L. 83/2014 che all’art. 10, prevedeva un credito d’imposta alle sole “imprese alberghiere”). Se in quelle situazioni il legislatore non aveva norme quadro di riferimento, oggi il PNRR rende difficilmente comprensibile la scelta di escludere le attività ricettive extralberghiere svolte in forma d’impresa, e i loro gestori che agiscono per finalità sociali, culturali, educative, religiose.
Infine, non può essere trascurato un ulteriore elemento che già di per sé costituisce un aggravio, se non anche un ostacolo, alla celere accessibilità ai fondi da parte delle persone giuridiche private che operano senza scopo di lucro soggettivo (e non si tratta solo delle Onlus e ora del Terzo Settore e delle imprese sociali): infatti gli edifici da essi posseduti, se realizzati da oltre 70 anni, sono soggetti al vincolo presuntivo di interesse culturale, ex artt. 10 e 12, D.Lgs. 42/2004, e ciò implica un allungamento significativo dei tempi per disporre di un progetto che può essere realizzato, in quanto deve essere previamente autorizzato dagli organi del MIBAC. Questa circostanza non è di minima importanza, dato che il credito d’imposta e il contributo sono a esaurimento, e costituisce un evidente elemento di disparità di trattamento tra soggetti che operano in regime d’impresa.
