La responsabilità di chi ha agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta sussiste verso i terzi ai sensi dell’art. 38 c.c.
La responsabilità personale e solidale per colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività concretamente svolta per conto di essa. In giudizio, chi solleva tale responsabilità è gravato dell’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova della qualifica di rappresentante legale dell'ente.
Il problema dell'individuazione dei soggetti personalmente responsabili verso i terzi, aderendo all’indirizzo giurisprudenziale, sussisterà soltanto in capo a coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione nei confronti dei terzi e solo per le obbligazioni che ciascuno di essi abbia assunto; non sussisterà, invece, a carico di chi abbia agito come rappresentante dell'associazione, se non ne sia derivata un'obbligazione per l'ente; non sussisterà, inoltre, nei confronti degli amministratori che abbiano deliberato l'atto ma non abbiano agito all'esterno in nome dell'associazione; sussisterà, infine, nei confronti di coloro che hanno agito in nome dell'associazione, anche se terzi estranei o semplici dipendenti di essa.
Per ciò che riguarda l'individuazione dei soggetti fiscalmente responsabili nelle associazioni non riconosciute, vale, anche ai fini tributari, l'art. 38 c.c., così come interpretato dalla giurisprudenza. In base a tale norma, delle obbligazioni dell'associazione rispondono "anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione". Tale responsabilità, come ricordato più volte dalla Cassazione, “non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questi e i terzi” (punto 6.1, sentenza Cass. Civ. n. 8752/2017).
Quindi, l'art. 38 trova applicazione, non già in virtù della mera titolarità del potere di rappresentanza dell'associazione, ma giusta l'attività negoziale concretamente svolta, in nome e per conto dell'associazione medesima, così da dar luogo a rapporti obbligatori tra questa e i terzi.
Oltre a tale responsabilità tributaria, l’Amministrazione Finanziaria, in più occasioni, ha escluso la qualifica di ente non commerciale dell’associazione non riconosciuta e ha attribuito il reddito di partecipazione alla società di fatto esercitata ad alcuni responsabili dell’ente che hanno agito in nome e per conto dello stesso (Cass. n. 15474/2018).
La Cassazione, di nuovo, con sentenza 11.01.2023, n. 546, sul punto, enuncia il seguente principio di diritto “La perdita della natura decommercializzata dell'attività svolta dagli enti collettivi non societari costituiti nelle forme dell'associazione non riconosciuta e la conseguente qualificazione dell'attività dall'associazione svolta quale attività commerciale comporta, ove la stessa attività venga svolta da più associati in comune tra loro, la qualificazione dell'ente collettivo quale società di fatto e la conseguente applicazione del regime di trasparenza agli associati che siano qualificabili quali soci della medesima società di fatto".
La fattispecie esaminata dalla Cassazione è classica: assenza della partecipazione degli associati alla vita associativa, tutto lo svolgimento dell’attività a cura di un gruppo ristretto di membri facenti parte del “direttivo”. I giudici hanno ritenuto che gli associati che usufruivano dei servizi dell’associazione fossero clienti che versavano un corrispettivo per i servizi ricevuti.
In sintesi, alcuni associati, facenti parte del direttivo, hanno esercitato tra di loro, senza un formale contratto scritto di società, l’attività commerciale. In base all’art. 5 del Tuir, trattasi di una società in nome collettivo irregolare che va tassata per trasparenza.
L’impostazione dell’Amministrazione Finanziaria si basa sulla perdita di qualifica dell’ente che da non commerciale diventa commerciale, e, pertanto, sarà soggetto alla disciplina degli enti commerciali.
Oggi per gli ETS, con la disciplina del CTS, non saranno più gli artt. 148 e 149 del Tuir, a disciplinare la commercialità o meno dell’ente; per gli ETS si dovrà fare riferimento al CTS e, in particolare, all’art. 79, dove la distinzione per tale qualifica tributaria è lo svolgimento delle attività in forma di impresa oppure non in forma d’impresa. Anche se le attività sono esercitate in forma d’impresa in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del citato articolo, l’ETS resta sempre non commerciale. Quindi, il principio di diritto emanato dalla Cassazione dovrà essere rivisitato per gli ETS dalla giurisprudenza nelle modalità prima indicate.
Con favore le associazioni non riconosciute con qualifica ETS hanno accolto il nuovo art. 22 del CTS che permette l’acquisizione della personalità giuridica con il metodo “normativo” e con la consistenza patrimoniale di 15.000 euro. Ciò solleverà gli amministratori di tali enti dalle responsabilità tributarie esposte nel presente articolo.
