Coop e terzo settore 25 Maggio 2020

Il regolamento del "ramo terzo settore" dell'ente religioso

Limiti, condizioni e suggerimenti utili per avvalersi della nuova disciplina, che richiama la consolidata esperienza dei "rami" Onlus.

La riforma del terzo settore e dell'impresa sociale permette anche agli enti religiosi civilmente riconosciuti che istituiscono un “ramo” di accedere a questa disciplina. Si tratta di una soluzione che richiama la consolidata esperienza dei “rami Onlus”, che il legislatore aveva previsto creando le organizzazioni non lucrative di utilità sociale: l'art. 4, c. 3 D.Lgs. 117/2017 (Codice del terzo settore) e l'art. 1, c. 3 D.Lgs. 112/2017 (impresa sociale) hanno sviluppato quell'esperienza e ora consentono di dar vita al ramo di terzo settore o d'impresa sociale purché:
- siano tenute scritture contabili separate;
- sia adottato un regolamento;
- sia costituito il “patrimonio destinato”.
Quest'ultima prescrizione è un'assoluta novità la cui portata attende di essere approfondita e precisata in quanto, stante il testo della norma, non dovrebbe avere come effetto la segregazione di una parte del patrimonio a beneficio delle sole attività del ramo e, dunque, non dovrebbe essere prescritta la necessità di una dotazione minima, come accade invece quando si crea un ente con autonomia patrimoniale perfetta (art. 22, c. 4 del Codice del terzo settore).
Se il tema del patrimonio destinato ha attirato l'attenzione della dottrina, degli operatori e di coloro che sono impegnati nella gestione di queste opere, non minor cura e prudenza chiede l'elaborazione del regolamento che, occorre ricordare, non istituisce un nuovo soggetto rispetto all'ente religioso che l'ha istituito. Per una sua corretta e opportuna redazione è necessario, anzitutto, individuarne i contenuti essenziali alla luce delle precisazioni elaborate dal legislatore delegato che affida al regolamento la funzione di distinguere (alcune attività) senza separare (l'unico soggetto giuridico). In secondo luogo, attraverso il regolamento, la riforma ottiene il risultato di far adottare all'ente religioso quei vincoli che assicurano anzitutto l'assenza della finalità di lucro soggettivo (divieto di distribuire gli avanzi di gestione) e la destinazione del patrimonio alle sole attività di interesse generale.
Nel contempo, un regolamento correttamente elaborato potrebbe anche essere una buona occasione per favorire un'adeguata conoscenza della struttura e del modo di funzionamento degli enti religiosi civilmente riconosciuti, che sono irriducibili agli enti del Libro I del Codice Civile (fondazioni e associazioni) e, ancor più, alle società commerciali.
Infine, ed è una significativa novità rispetto alla disciplina dal regolamento del ramo Onlus, quello di terzo settore o d'impresa sociale potrà essere adottato (dall'organo amministrativo dell'ente religioso) solo con l'intervento di un notaio, essendo prevista la forma della scrittura privata autenticata o dell'atto pubblico.
Dunque, un comma breve, essenziale, ma che si fa carico di almeno un duplice risultato:
- consentire lo sviluppo anche delle opere sociali e d'interesse generale gestite dagli enti religiosi, che hanno un ruolo significativo all'interno del welfare del nostro Paese;
- rispettare il fatto che queste attività sono intrecciate in modo ineludibile con gli enti religiosi civilmente riconosciuti, la cui singolarità è un patrimonio per la società italiana.
In allegato un approfondimento sul tema”.