La Cassazione recepisce l'orientamento della Corte di Giustizia Ue sul principio di neutralità, con effetti rilevanti sulla quantificazione delle pretese erariali.
Una recente pronuncia della Suprema Corte potrebbe modificare sostanzialmente il calcolo delle imposte contestate ai contribuenti sottoposti a verifica sulla base delle risultanze dei conti correnti. Con l'ordinanza 2.12.2025, n. 31406, i giudici di legittimità hanno affermato un principio di notevole portata pratica: quando l'Amministrazione Finanziaria ricostruisce la materia imponibile attraverso le indagini finanziarie, il maggior volume d'affari determinato deve intendersi come importo nel quale l'Iva risulta già incorporata. La decisione recepisce la giurisprudenza europea, pur ponendosi in contrasto con un diverso orientamento espresso dalla stessa Cassazione pochi mesi prima.La vicenda nasce da un accertamento fondato su indagini finanziarie ex art. 32 D.P.R. 600/1973 e sulle corrispondenti norme del D.P.R. 633/1972, da cui era emersa un’attività imprenditoriale completamente sommersa, senza fatture, senza registrazioni e senza dichiarazioni. Il Fisco aveva trattato gli importi transitati sul conto corrente come ricavi non dichiarati, imputandoli integralmente a volume d’affari Iva e aggiungendo poi l’imposta. Il contribuente aveva invocato il principio di neutralità dell’Iva, sostenendo che l’Amministrazione, così operando, gli imponesse un tributo già insito nelle somme individuate. Per affrontare il nodo la Cassazione si richiama alla sentenza della Corte di Giustizia Ue 1.07.2021, causa C-521/19, secondo cui le somme accertate a seguito di...