Per una rilettura dell’art. 79 del Codice del Terzo Settore (CTS)
Da più parti si è cercato di porre dei correttivi alle disposizioni in materia di imposte sui redditi, ma senza successo. Vale forse la pena proporre una rilettura dell’articolato che affronti le tematiche aventi maggiore rilevanza pratica.
Il primo aspetto da dirimere è la distinzione delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 del CTS in commerciali/non commerciali (art. 79, c. 2-bis).
Senza entrare nel merito del criterio generale di non commercialità prescelto, e, cioè, in un certo senso, l’antieconomicità della gestione (corrispettivi uguali o inferiori ai costi effettivi), ci sembra doveroso segnalare un aspetto di grande rilevanza pratica: il test di non commercialità dell’attività di cui all’art. 79, c. 2 va applicato ad ogni singola attività (come sembrerebbe emergere da una lettura della Relazione illustrativa al D.Lgs. 117/2017), o può essere applicato all’insieme delle attività di interesse generale gestite dall’ente?
È chiaro che il risultato del test, applicando l’una o l’altra metodologia, può cambiare anche profondamente non solo allocando nell’area dell’imponibilità alcune attività che in una logica complessiva, in base al principio di compensazione, ne rimarrebbero estranee, ma anche influenzando il risultato del Test 2 (commercialità dell’ente - vedi art. 79, c. 5).
A noi sembra che, nel silenzio della norma, l’interpretazione più logica, tenuto conto anche della gestione sotto il profilo aziendale possa essere quella di applicare il Test 1 al complesso delle attività dell’ente.
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