Qualche anno fa un manager di un’azienda produttrice di articoli di moda mi raccontava della progressiva perdita di efficacia dei tradizionali strumenti di comunicazione/promozione dei loro prodotti. I mass media tradizionali, stampa, radio, televisione e i social e Internet non sembravano tenere il passo con l’apparire di un nuovo canale di promozione fondato soprattutto sull’emulazione. Tramontate le analisi sociologiche sugli status symbol che indicavano appartenenza o successo, una parte non trascurabile di consumatori si era diretta verso modelli di pura imitazione. Sia chiaro: l’emulazione è sempre esistita. Le acconciature, i vestiti, le borse o le scarpe delle dive del cinema o anche la Vespa di Gregory Peck in Vacanze romane, ad esempio. Il cinema, però, era un mondo di fiaba, popolato di personaggi famosi che non avevano nessuna razionale intenzione di vestirsi o mostrare oggetti per promuoverne la vendita. Almeno fino a un certo limite.
Con questa storia degli influencer si è arrivati al punto che milioni di persone sono state “rapite” per seguire modelli senza spessore professionale, artisti del nulla che possono vantare solo una fredda abilità di manipolazione e un perfetto dominio dei nuovi social. Che questi elementi siano componenti di nuove professionalità faccio fatica a comprenderlo, ma probabilmente è un mio limite.
Ebbene, il problema non è tanto chi si dedica a...