Società sportive dilettantistiche, le finalità lucrative da provare
La definizione delle attività di tipo commerciale poste in essere da un ente qualificato come ASD, non comporta la diretta e necessitata conseguenza dell'attribuzione della qualità di ente commerciale: i concetti di “ente” e “attività svolte” vanno sempre opportunamente tenuti distinti.
La Cassazione, con un recente intervento (Cass. Civ. Sez. V, ordinanza 27.04.2020, n. 8182), rammenta il corretto riparto dell’onere della prova. Al cospetto di rapporti tributari “agevolati”, come sono quelli delle associazioni sportive dilettantistiche, da un lato, spetta al contribuente dimostrare il possesso dei requisiti di legge che consentono di fruire dei benefici fiscali; dall’altro lato, spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare l’esistenza di elementi tali da escluderne invece il godimento: le contestazioni mosse dal Fisco devono essere, quindi, opportunamente documentate dagli organi di controllo, tenuti sempre a fornire elementi concreti e probanti. Nello specifico, con la citata ordinanza, il Supremo consesso ha chiarito (o meglio, ribadito) il caso di un'associazione sportiva dilettantistica, alla quale veniva contestata un'operatività prettamente commerciale con il conseguente assoggettamento a imposizione ordinaria; la base di tali contestazioni poggiava su un fondo probatorio farraginoso e non omogeneo, in base al quale sulla scorta di un parcellizzato riscontro di una serie operazioni commerciali, veniva riconvertita la qualifica dell’ente da non lucrativo, a mera attività commerciale.
Il ricorso del contribuente, sulla scorta dei fatti rilevati, trovava accoglimento sia in primo che in secondo grado. Le Entrate non desistevano e proponevano ricorso per cassazione. La Suprema corte,...