Come noto, ai sensi dell’art. 5 L. 604/66 “l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro” e la prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo include anche l’impossibilità del cosiddetto repechage e, cioè, dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui ricollocare utilmente il lavoratore. In merito al predetto onere di repechage, già da diversi anni la giurisprudenza ha chiarito che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa della soppressione del posto cui è addetto il lavoratore, il datore ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione dei principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale.
Il principio espresso dal citato orientamento (che possiamo efficacemente sintetizzare nell’estensione dell’obbligo di repechage anche a mansioni inferiori) ha trovato poi certamente sostegno nel novellato art. 2103 c.c.. La formulazione attuale dell'art. 2103, c. 2 c.c. (riscritto da uno dei decreti attuativi del Jobs Act, il D. Lgs. 81/2015,...