Con il ritorno dell’inflazione, da qualche anno i già tartassati lavoratori dipendenti e pensionati sono costretti a fare i conti con un nemico invisibile che erode ulteriormente i loro salari e il potere d’acquisto: il cosiddetto fiscal drag (o drenaggio fiscale).È un fenomeno che colpisce quei Paesi, come il nostro, in cui il sistema d’imposta progressivo non è indicizzato all’inflazione e, pertanto, la quota di reddito da pagare in Irpef aumenta in automatico.Per comprendere meglio, facciamo l’esempio di un operaio metalmeccanico che nel 2024 ha dichiarato un reddito di circa 30.000 euro con un versamento Irpef pari, grosso modo, a 6.000 euro.Poniamo che sia lo stesso reddito percepito nel 2022: per effetto dell’inflazione che nel triennio in questione ha aumentato il costo della vita del 17%, egli avrebbe dovuto pagare, in termini reali, più o meno 4.900 euro perché divenuto nel frattempo più povero. Ma poiché per il nostro Fisco vale il reddito nominale e non quello reale, egli ha dovuto “accollarsi” una differenza di 1.100 euro che va, per l’appunto, sotto il nome di drenaggio fiscale.Naturalmente tutto ciò non accade in quegli ordinamenti che consentono un pieno recupero dell’inflazione con l’applicazione di un’aliquota maggiore, così come non si verifica nei confronti di chi usa la flat tax, dal momento che quest’ultima prevede un’aliquota proporzionale e fissa, senza scaglioni.Nel citato triennio 2022-2024 che ha fatto...