La Corte di Cassazione torna nuovamente sulle conciliazioni in sede sindacale, dando continuità alla precedente ordinanza n. 10065/2024. Anche in presenza del rappresentante sindacale, la sede aziendale non presenta i caratteri di neutralità.
In tema di rinunce e transazioni nel rapporto di lavoro, l’isolato provvedimento della Suprema Corte 15.04.2024, n. 10065 trova adesso conferma e continuità nella nuova ordinanza 8.04.2025, n. 9286. Stando alle disposizioni dell’art. 2113, c.c., le rinunce e le transazioni, aventi a oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 c.c., non sono valide e sono impugnabili, a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinuncia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima. Vieppiù, l’ultimo comma dell’art. 2113, c.c., in deroga all’ordinaria disposizione sopracitata, prevede che dette regole non si applichino alle conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater c.p.c.Brevemente, per quanto attiene alle conciliazioni intervenute in sede sindacale, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che la genuinità dell’accordo raggiunto debba essere accertata rispetto all’effettiva assistenza prestata al lavoratore dalla parte sindacale, ritenendo il luogo fisico-topografico di stipula dell’accordo un requisito non sostanziale dell’intesa raggiunta. Conseguentemente, l’atto di rinuncia o di transazione con effetto tombale ex art. 2113, c. 4 c.c., rispetto ai rapporti di lavoro contemplati dall’art. 409 c.p.c.,...