Sanzione per dichiarazione infedele al socio accomandante: legittima?
La Cassazione ammette la sanzione al socio accomandante per condotta colposa legata al mancato controllo ex art. 2320 c.c. Tuttavia, dottrina e analisi critica dubitano della coerenza con l’art. 5 D.Lgs. 472/1997, che richiede la prova effettiva della colpa.
Per il giudice di Cassazione è principio di diritto lecito la comminazione della sanzione tributaria al socio accomandante in caso di illecito fiscale perpetrato dagli accomandatari, in quanto, in virtù dei diritti/poteri di verifica contabile previsti dall’art. 2320, ultimo comma c.c., esso incorre in una condotta colposa qualora, anche con l’eventuale l’ausilio di professionisti competenti, non li eserciti. Tuttavia, per chi scrive, la Cassazione nel perpetuare senza alcuna distinzione tale principio di diritto, non tiene innanzitutto conto di possibili condotte fraudolente perpetrate dagli accomandatari, con il sussidio di artifizi e manipolazioni contabili di non agevole accertamento, in grado di intercettare il fattore costitutivo della prerogativa della colpa imputabile all’accomandante, senza la quale proprio l’art. 5 D.Lgs. 472/1997 preclude la comminazione legittima della sanzione.Il passo della sentenza “fermo restando il diritto del socio accomandante di agire nei confronti della società in sede civile ordinaria per recuperare la quota di utili a lui spettante, nonché l'esclusione della sua responsabilità qualora risulti dimostrata la sua buona fede”, porterebbe invece a ritenere che il giudice di Cassazione non ritenga di assumere nel processo tributario la rilevanza della prova (a carico della Finanza) in ordine alla condotta fraudolenta dei soci accomandatari, ma se così fosse l’errore di diritto in cui la Cassazione incorre sarebbe...