A norma dell’art. 25-quinquies, c. 5 del Codice della crisi, il Tribunale deve verificare, ai fini dell’omologazione del concordato semplificato, la fattibilità del piano e che la proposta non arrechi pregiudizio ai creditori.
Il Codice della crisi stabilisce che il giudizio di fattibilità del concordato semplificato è rimesso alla discrezionalità, ancorché tecnica, del Tribunale, in funzione sostitutiva della valutazione dei creditori dei quali non è prevista alcuna espressione di voto, ma unicamente lo strumento oppositivo (è lo schema del c.d. concordato coattivo, con singolare revirement all’impostazione pubblicistica tipica della legge fallimentare del 1942). Al Tribunale è richiesta, quindi, una verifica non solo della c.d. “fattibilità giuridica” e della correttezza formale del piano e dell’intero procedimento nella sua fase giurisdizionale, ma anche un vaglio della fattibilità economica, intesa come ragionevole probabilità del piano stesso di raggiungere i risultati attesi. Questo accertamento sulla fattibilità economica, comunque, non può ritenersi limitato (come invece accade nell’ambito del Concordato preventivo) alla valutazione, fatta in negativo, della mera “non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati”, ma proprio in ragione della maggiore profondità e pregnanza dell’intervento del Tribunale deve svolgersi in senso positivo, ponendo a carico della società ricorrente un onere probatorio assai più gravoso e rilevante sul punto, stante il chiaro dato normativo che assegna al Tribunale un vaglio puro e semplice della fattibilità del piano di liquidazione (art. 25-sexies, c. 5 del Codice della crisi), senza distinzione...