Diritto del lavoro e legislazione sociale
22 Aprile 2025
Dimissioni per fatti concludenti: debacle dell'autonomia contrattuale
Il termine legale di 15 giorni è inderogabile e non può essere ridotto dal C.C.N.L. applicato al rapporto di lavoro. Se mancano i presupposti per le dimissioni per fatti concludenti, la ricostituzione del rapporto di lavoro non opera automaticamente
È una storia infinita quella delle dimissioni per fatti concludenti del lavoratore. Tutto parte dall'esigenza di arginare la diffusa prassi delle assenze ingiustificate per costringere il datore di lavoro a ricorrere a un licenziamento disciplinare ed ottenere la NASpI. A tali finalità anti-abuso risponde l'art. 19 del Collegato lavoro, che introduce il c. 7-bis dell'art. 26 del D.Lgs. n. 151 del 2015, prevedendo una nuova fattispecie di risoluzione del rapporto di lavoro per volontà implicita del lavoratore, ovverosia le dimissioni per fatti concludenti.Sulla norma è intervenuto, in un primo momento, l'Ispettorato nazionale del lavoro, con la nota prot. 579 del 22.01.2025, e successivamente il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 6 del 27.03.2025. I criteri interpretativi individuati dalla circolare ministeriale sembrano, in più passaggi, travalicare il dettato normativo e le finalità del legislatore, sollevando non pochi interrogativi tra gli operatori del settore.Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, con lettera del 2.04.2025, ha chiesto, al Ministero, chiarimenti in ordine a due passaggi controversi della circolare n. 6 del 2025: più in dettaglio, in merito alla asserita inderogabilità della durata minima di 15 giorni dell'assenza ingiustificata del lavoratore e sulla automaticità della ricostituzione del rapporto di lavoro, da parte del datore di lavoro, per insussistenza dei presupposti legittimanti le dimissioni implicite.Il...